In seguito alla distruzione totale della vecchia Gibellina dopo il terremoto del 1968, il paese è stato ricostruito a 18 chilometri di distanza dal vecchio paese. La nuova Gibellina è adesso localizzata su un terreno pianeggiante in prossimità di importanti assi di collegamento (autostrada e linea ferroviaria).
La ricostruzione,che è avvenuta dopo lunghi anni di disagi e difficoltà nell'inferno delle baraccopoli, ha introdotto gli abitanti entro un universo completamente diverso da quello a loro noto. È una città giardino, pensata e costruita come quintessenza del "moderno", caratterizzata dall'ampiezza delle strade, dalla grande distanza tra le abitazioni e tra queste e le vie.
A fronte di un'altissima dispersione territoriale (ben 15 ettari di superficie costruita), il nuovo centro registra una densità demografica molto bassa, pari a circa 330 abitanti per ettaro, un rapporto che dà la misura delle "distanze" istituite tra le persone e tra queste e le case, specie se comparato con il dato accertato nella vecchia Gibellina (3.200.000 abitanti per ettaro).
La struttura urbanistica è caratterizzata prevalentemente dall'alternarsi di strade carrabili e pedonali, con case a schiera dotate di piccolo giardino.
Prima del terremoto
Prima del terremoto Gibellina era una piccola cittadina con poco più di 6000 abitanti divisa in sei quartieri, confinante a nord con la provincia di Palermo, ad est con Poggioreale, a sud con Salaparuta, ad ovest con Santa Ninfa e a nord-ovest con i comuni di Calatafimi e Alcamo. Insomma, una posizione centrale, anche se per raggiungerla bisognava percorrere strade scomode e quasi impraticabili, difficoltà che indubbiamente costituirono un limite naturale al suo sviluppo economico, ma che insieme consentirono agli abitanti di conservare, forse con maggiore fedeltà di altri siciliani, il ricordo della tradizione, dei costumi, la memoria complessiva del passato.
L'abitato sorgeva sul feudo Busecchio,estendendosi sui cinque colli di Piano di corte, Santa Caterina, Matrice, Mulino del Vento e del Castello Chiaramontano e si estende dal torrente Gebbia, a sud, al colle Mulino dle Vento, a nord. Da qui lo stemma del paese: una torre su cinque colli.
La superficie agraria e forestale, che si estendeva per 4345 ettari, era destinata per 3861 ettari alle coltivazioni erbacee (seminativo ettari 3496, pascoli e prati 365 ettari) per 454 ettari alle coltivazioni legnose (vite, olivo e mandorli), mentre 29 ettari erano incolti e improduttivi.
Ma queste cifre non devono trarre in inganno e indurre all'ottimismo: il terreno infatti, ricco di argilla e da secoli ormai poverissimo d'acqua, salvo che di quelle gassose e sulfuree, rendeva pochissimo e di conseguenza il reddito complessivo era assai basso. Per non parlare della estrema frammentazione della proprietà fondiaria, che impediva praticamente qualsiasi tentativo di razionalizzare e ammodernare le colture e di qualsiasi forma associativa.
Nel suo territorio era prevalente il cretaceo e, nella minor parte il magnesiaco con rocce, dove predominava la parte gessosa e l'alabastrito compatto. Conteneva strati zolfiferi; però l'estrazione del minerale, per la sua profondità, si rendeva costoso e metteva in rischio non pochi capitali. Erano invece abbondanti le miniere di gesso, esercite dai privati.
Il paese si divideva nei quartieri: S. Caterina, Pizzo di Corte, Acqua Nuova, S. Antonino, Zubbia, S. Nicolò.
A 421 m. sul livello del mare, era situata tra il 37° - 47 ° di latitudine ed il 30° - 37° di longitudine.
La temperatura media annuale era di 19°; la massima di 32°; la minima di 2°. L'aria era ordinariamente asciutta; rara la neve; il vento predominante era il nord-ovest o maestro.